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il misterioso libro di Enoch e la sua storia al cospetto di Dio tra angeli e giganti

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2009 10:45
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di Lawrence Sudbury
All'interno del corpus degli Apocrifi Veterotestamentari, vi è un testo che spicca particolarmente non solo per la sua originalità compositiva e per la stupefacente visionarietà, ma anche per la sua particolarissima storia e la sua incredibile capacità profetica: il cosiddetto "Libro di Enoch".

Enoch, secondo l'Antico Testamento, fu il padre di Matusalemme e il bisnonno di Noè e la Genesi ce lo presenta come l'unico uomo che non conobbe la morte: "Iared aveva centosessantadue anni quando generò Enoch; Iared, dopo aver generato Enoch, visse ancora ottocento anni e generò figli e figlie. L'intera vita di Iared fu di novecentosessantadue anni; poi morì. Enoch aveva sessantacinque anni quando generò Matusalemme. Enoch camminò con Dio; dopo aver generato Matusalemme, visse ancora per trecento anni e generò figli e figlie. L'intera vita di Enoch fu di trecentosessantacinque anni. Poi Enoch camminò con Dio e non fu più perché Dio l'aveva preso." (1)
Tenendo conto che, anche secondo calcoli che naturalmente non possono essere precisi, egli visse qualcosa come 2500 o 3000 anni prima di Cristo, risulta assolutamente ovvio che l'Enoch "storico" non può essere l'autore degli scritti a lui attribuiti. Ciò fa sì che i tre scritti (o meglio, le tre varianti) in nostro possesso a lui attribuiti, i cosiddetti "I Enoch" (o "Enoch Etiopico"), "II Enoch" (o "Enoch Slavo", o anche "Segreti di Enoch") e "III Enoch" (o "Apocalisse Ebraica di Enoch"), rientrino tutti nella categoria filologica degli "pseudoepigrapha" (cioè di quei testi in cui l'autore ha finto di essere un personaggio biblico per accreditare il suo libro) (2).
Questo non significa assolutamente che, per questa sola ragione, un testo debba essere considerato apocrifo: in questo caso, probabilmente più della metà dell'Antico Testamento così come lo conosciamo dovrebbe essere espunto dal Canone. In effetti, uno dei punti più controversi di questo scritto, riguarda proprio la sua canonicità, al momento riconosciuta solo dalla Chiesa Copta. Per comprendere questo punto, però, è necessario analizzare brevemente la storia compositiva della più antica delle versioni che ci sono giunte (le altre sono certamente più tarde): "I Enoch".
Il testo risulta, già ad una prima analisi, fortemente composito (come, d'altronde, gran parte della Bibbia). In linea generale, possiamo distinguere, all'interno dei suoi 108 capitoli, cinque parti principali, il "Libro dei Vigilanti" (capitoli 1-36), il "Libro delle Parabole" (capitoli 37-71), il "Libro dell'Astronomia" (capitoli 72-82), il "Libro dei Sogni" (capitoli 83-90) e la "Lettera di Enoch" (capitoli 91-104), a cui va aggiunta la cosiddetta "Apocalisse di Noè" (capitoli 105-108), presente, però, solo in varianti greche e non nell'originale abissino.
Di queste parti, la più antica è certamente la prima, che viene datata dalla maggior parte degli studiosi al III secolo a.C. (3), la più recente è la seconda, databile verso la fine del I secolo a.C. (4), mentre le parti rimanenti risalgono tutte al periodo compreso tra il II secolo a.C. e la fine del periodo maccabaico (inizio I secolo a.C.).
A lungo, la sua canonicità, o, quantomeno, la sua autorità, doveva risultare indiscussa: non solo lo ritroviamo tra i testi di Qumran (di cui forma una parte cospicua), ma, dai Vangeli, appare piuttosto evidente che Gesù stesso doveva averlo conosciuto e studiato, tanto che più di cento affermazioni presenti nel Nuovo Testamento trovano precedenti proprio in Enoch (5).
In due casi, poi, proprio all'interno del Nuovo Testamento, si arriva addirittura alla citazione diretta, prima nella "Lettera agli Ebrei": "Per fede Enoch fu trasportato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via. Prima infatti di essere trasportato via, ricevette la testimonianza di essere stato gradito a Dio" (6), che, però potrebbe essere semplicemente un eco dalla Genesi, poi, in modo molto più diretto, nella "Lettera di Giuda": "Profetò anche per loro Enoch, settimo dopo Adamo, dicendo: Ecco, il Signore è venuto con le sue miriadi di angeli per far il giudizio contro tutti, e per convincere tutti gli empi di tutte le opere di empietà che hanno commesso e di tutti gli insulti che peccatori empi hanno pronunziato contro di lui. (7)
Se ciò non bastasse, riferimenti a Enoch sono presenti in decine di pagine di vari Apocrifi (con particolare estensione della "Lettera di Barnaba") e gran parte dei "Padri della Chiesa", da Giustino Martire (8) a Ireneo (9), da Origene (10) a Clemente Alessandrino (11) e a Tertulliano (12) (che arriva addirittura a definirlo espressamente parte delle Sacre Scritture) lo citano estensivamente.
Insomma, fino almeno al III secolo, il "Libro di Enoch" appare pienamente canonico. Poi, probabilmente a partire dal Concilio di Laodicea del 352, il testo cominciò ad essere espunto dal Canone e ad essere attaccato al punto che Filostrio si spinge fino a definirlo "eretico" (13).
Il risultato di questa operazione è la ovvia (la pergamena era troppo cara e il lavoro amanuense era troppo lungo e faticoso per eseguire copie di testi extra-canonici) progressiva cassazione del testo dal corpus dei libri circolanti, tanto che, nonostante nel 1400 si diffondessero voci riguardanti l'esistenza di qualche possibile copia sopravvissuta, il testo viene dato per perduto fino al XVIII secolo.
Nel 1773, però, il famoso esploratore James Bruce ritornò da un viaggio di sei anni in Abissinia portando con sé tre copie in Ge'ez del libro, copie che, per altro, vennero dimenticate nella Biblioteca Bodleiana di Oxford, fino al 1821, quando Richard Laurence pubblicò la prima traduzione in inglese.
Quando, nel 1912 la celebre edizione di R.H. Charles vide la luce e portò realmente il "Libro di Enoch" alla conoscenza del mondo, un suo sunto parafrasato in paleoslavo (II Enoch), di origine probabilmente macedone dell'XI secolo, era già stato ritrovato in un monastero di Belgrado e pubblicato da Solokov (1899).
Infine, negli scavi della "grotta 4" dei "Rotoli del Mar Morto", sette nuove copie frammentarie, come accennato, questa volta nell'originale aramaico (III Enoch), vengono rinvenute e danno il via ad una serie di studi che risultano ancora in corso.
Fin qui, la storia della "perdita" e "riscoperta" del testo (14).
Ma la domanda fondamentale riguarda la "caduta" del "Libro di Enoch" dal rango di testo canonico a quello di testo apocrifo se non eretico: cosa conteneva il testo per risultare così pericoloso e deleterio per un lettore cristiano?
Probabilmente, la parte più "scandalosa" riguarda la prima parte, quel "Libro dei Vigilanti" i cui 36 capitoli narrano del congiungimento carnale tra angeli e donne mortali e della conseguente nascita dei Giganti.
Vediamo nel dettaglio cosa raccontano questi capitoli.
L'incipit, anonimo, è in terza persona, ma si passa dopo poche righe ad un resoconto in prima persona di Enoch, che parla con Dio ("il Santo e Grande"), il quale verrà sul monte Sinai con 10000 santi (angeli fedeli) e giudicherà gli angeli vigilanti e l'umanità cosicché ci sarà pace e prosperità per i giusti. Subito dopo, Enoch descrive l'armonia del cosmo attuale e la maledizione di Dio per gli empi che turbano tale armonia. Immediatamente siamo informati della ragione di tale maledizione: un giorno duecento angeli, figli del cielo, decidono di unirsi con le figlie degli uomini e scendono sul monte Hermon (in Palestina) guidati da Semeyaza (capo supremo) e da Urakibaramel, Akibeel, Tamiel, Ramuel, Danel, Ezeqeel, Suraquyal, Asael, Armers, Batraal, Anani, Zaqebe, Samsaweel, Sartael, Turel, Yomyael, Arazeyal (15). Gli angeli, unendosi con le donne, generano giganti (i Nefilim) di 300 cubiti che turbano l'armonia degli uomini e del creato, mentre Azazel e altri angeli insegnano agli uomini metallurgia e altri saperi (incantesimi, astrologia), ulteriore causa di corruzione del genere umano. Gli arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele e Uriele notano dal cielo la situazione e si rivolgono a Dio, il quale invia Uriele al figlio di Lamech (Noè) per annunciargli il diluvio che cancellerà il male degli uomini, ordina a Raffaele di legare Azazel e di imprigionarlo nella tenebra e sotto terra fino al giorno del giudizio, ordina a Gabriele di far annientare l'un l'altro i giganti e ordina a Michele di legare Semeyaza e gli altri angeli vigilanti e di imprigionarli sotto terra per settanta generazioni, fino al giorno del giudizio: solo così il mondo sarà purificato dal male e benedetto.
A questo punto, Enoch viene rapito in cielo e qui riceve la visita di due angeli vigilanti (non decaduti) che gli dicono di recarsi presso gli angeli vigilanti che hanno abbandonato il cielo per annunciare loro il castigo divino. Così Enoch ritorna sulla terra e annuncia ad Azazel la condanna, ma i vigilanti condannati gli chiedono di intercedere per loro presso Dio, che, però, in un sogno-visione ribadisce a Enoch la condanna irrevocabile degli angeli vigilanti che han lasciato il cielo e degli empi. Dopo ciò, Enoch viene portato (non è ben chiaro da chi) a visitare alcuni luoghi in terra e sottoterra: Uriele gli mostra da una spaccatura del terreno il luogo sotterraneo dove stanno gli angeli decaduti fino al giorno del giudizio e i sette angeli che vigilavano su quel luogo (Uriele, Raffaele, Raguele, Michele, Sarcaele, Gabriele, Remiele), Raffaele gli mostra un luogo profondo e tenebroso in una montagna, che è il luogo per le anime dei morti fino al grande giudizio in cui le anime dei giusti saranno separate dalle anime dei peccatori, e Raguele gli indica un enorme fuoco ardente di cui non è ben specificata l'utilità, infine Michele gli mostra sette montagne preziose e un albero, dai cui frutti sarà data agli eletti la vita nel grande giudizio.
Ora, se anche è evidente che il racconto non collima, anzi contrasta piuttosto apertamente con la tradizione biblico-ecclesistica sulla "caduta angelica" che vuole tale caduta come frutto della superbia di Lucifero che si ribella a Dio per gelosia nei confronti degli uomini, in realtà questa discrepanza potrebbe apparire solo come una delle molte contraddizioni (e non sicuramente la più "pericolosa") dell'Antico Testamento (16).
D'altra parte, proprio nella Genesi troviamo una serie di versetti che sembra adattarsi perfettamente proprio alla descrizione del "peccato angelico" di Enoch: "Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Allora il Signore disse: 'Il mio spirito non resterà sempre nell'uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni'. C'erano sulla terra i giganti a quei tempi - e anche dopo - quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo." (17)
Insomma, perché eliminare dal Canone un Libro in cui contenuto potenzialmente "eretico" era già incluso nel primo Libro del Pentateuco?
Forse la risposta va cercata nell'utilizzo dei termini e a partire non da questa parte, che al più poteva essere by-passato come una sorta di incipit fantasioso o visionario, quanto a partire dal brano più stupefacente del "Libro delle Parabole", quel capitolo XLVI che recita: "La io vidi l'Antico dei giorni il cui capo era come lana candida, e con lui un altro, il cui aspetto ricordava quello di un uomo. Il Suo aspetto era pieno di grazia, come quello dei santi angeli. Allora io chiesi a uno degli angeli, che erano con me e mi mostravano ogni cosa segreta, a riguardo di questo Figlio dell'uomo; chi fosse, da dove venisse e perché accompagnasse l'Antico dei giorni. Egli mi rispose e mi disse, Questo è il Figlio dell'uomo, a cui appartiene ogni giustizia, da cui è plasmata ogni giustizia e che rivelerà ogni tesoro che ora è celato: poiché il signore degli spiriti lo ha scelto ed Egli ha sorpassato tutti in eterna giustizia agli occhi del Signore degli spiriti." (18)
Da sempre questo testo è stato visto, in ottica cristiana, come una prefigurazione della venuta del Cristo e, in ottica ebraica, forse, dal punto di vista storico e filologico con maggior ragione, come una prefigurazione della venuta del Messia d'Israele.
Ebbene, il problema sorge proprio riguardo il termine "Figlio dell'uomo" con cui, più tardi, lo stesso Gesù definirà più volte se stesso (19): nel "Libro dei Vigilanti", i "Grigori", cioè le creature angeliche cadute sono sempre definiti "figli di Dio", in contrapposizione con le donne terrestri, sempre definite "figlie dell'uomo".
In pratica, è come se "Enoch" ci parlasse del Messia come di una creatura completamente umana e Gesù stesso confermasse questo assunto continuamente: tutto ciò, alla luce del processo di divinizzazione evangelico del Cristo, non poteva trovar posto, facendo ritornare l'immagine cristologica al messianismo ebionita e contraddicendo tutto l'assunto paolino posteriore. Naturalmente, una tale discrepanza poteva sfuggire in due versetti della Genesi, che, per altro, non potevano essere in alcun modo cassati, ma certamente non in un intero libro in cui la contrapposizione tra figure divine e figure umane era continuamente ribadita e che, per tanto, doveva essere eliminato.
Al di là della "fortuna canonica" del "Libro di Enoch", vi è ancora un ultimo aspetto interessante da accennare riguardo a questo testo.
Prima si è parlato della possibilità di far passare tutti i primi capitoli (quelli in cui si tratta di angeli caduti, di giganti e di diluvio) come delle fantasie visionarie: siamo proprio certi che sia così?
Dobbiamo tener conto che, sebbene scritto tra IV e III secolo a.C., il "Libro di Enoch" si doveva forzatamente ispirare a leggende orali o scritte molto precedenti (20) e, come qualunque studioso di etno-antropologia o di religioni comparate può certificare, ogni nucleo mitologemico si basa sempre su un nucleo di realtà (21), soprattutto laddove lo stesso mitologema di presenta in forma ricorrente in diverse culture tra loro distanti.
Ebbene, anche lasciando da parte la miriade di esempi da culture lontanissime di racconti di un diluvio universale, il che potrebbe essere anche spiegabile con un effettivo cataclisma preistorico di cui diversi popoli hanno mantenuto memoria, è indubbio che, come notato anche da Elisabeth Clare Prophet (22), le analogie tra Azazel e il Prometeo del mondo greco-romano siano impressionanti, così come impressionante è la ripetitività dell'idea di un "intercorso" divino-umano che generi giganti in un numero notevole di civiltà differenti. Così troviamo che:

* antiche leggende sumere parlano di dei che discendono dalle stelle e inseminano creature terrestri, dando vita ai primi uomini;
* i nativi di Melekula, nelle Nuove Ebridi ritengono che la prima razza umana discendesse da alcuni "figli del cielo";
* gli Inca si consideravano "figli del sole";
* i Teutoni credevano che i loro antenati fossero i cosiddetti "Wanen", esseri volanti provenienti dal cielo;
* i Coreani pensavano che un re celeste "Hwanin" avesse mandato suo figlio "Hwanung" sulla terra per sposare una mortale e dar vita a "Tangun Wanggom", che per primo riunì le tribù disperse in un solo regno;
* l'antica tradizione Tango-Fudoki in Giappone riporta la storia del "Figlio dell'Isola", nato da un uomo terrestre e dalla sua sposa celeste;
* il "Mahabharata" e altri antichi scritti sanscriti in India parlano di dei che generano figli da donne terrestri e di questi figli che ereditano dai padre qualità soprannaturali;
* elementi mitologici similari si riscontrano anche nell'"Epopea di Gilgamesh", in cui leggiamo di "guardiani" divini che si accoppiano sulla Terra e generano giganti;
* infine, un antico mito persiano narra che, prima dell'arrivo di Zarathustra, alcuni demoni avevano corrotto il genere umano, alleandosi con le donne. (23)

Cosa dire di tutto ciò? Certamente i punti di contatto sono numerosi, forse troppi per parlare di semplici coincidenze. Ma, a questo punto, la storia si deve fermare, di fronte a dubbi che, probabilmente, non avranno mai risposte concrete.


Note:
1. Genesi 5,18-24.
2. C.A. Evans, "Noncanonical Writings and New Testament Interpretation", Hendrickson Publishers 1992, p. 7.
3. Sebbene Nickelsburg, in G. W. E Nickelsburg, "1 Enoch 1: A Commentary on the Book of 1 Enoch", Fortress 2001, pp.81ss., la pre-dati al IV secolo a. C.
4. E Milik, che, invece, la data al I secolo d.C., la vorrebbe come sostituzione di un "Libro dei Giganti", ritrovato a Qumran (1Q23-4; 2Q26; 4Q203; 530-33; 6Q8) e databile al III secolo a.C. Si veda: J.T. Milik, "The Books of Enoch: Aramaic Fragments of Qumran Cave 4", Oxford University Press 1976, pp.136ss.
5. G.W.E. Nickelsburg, J.C. VanderKam, "Enoch: A New Translation; Based on the Hermeneia Commentary", Augsburg Fortress Publishers 2004, pp.11-13.
6. Ebrei 11,5.
7. Giuda 1,14-15.
8. Giustino Martire, "Apologia", 2,5.
9. Ireneo, "Adversus Haereses", 1,15,6; 4,16,2; 4,36,4; 5,28,2.
10. Origene, "Contra Celsum", 5,52-54; "In Ioannem", 6,25; "In Numeros Humilia", 28,2; "De Principiis", 1,3,3; 4,35.
11. Clemente Alessandrino, "Eclogae Propheticae", 3,456;474; "Stromata", 3,9.
12. Tertuliano, "Apologia", 22; "De Cultu Foeminarum", 1,2; 2,10; "De Idolatria", 4,9; "De Virginibus Velandis", 7.
13. Filostrius, "Liber de Haeresibus", CVIII.
14. Per una storia più dettagliata dei ritrovamente e delle edizioni del testo vedi J. B. Lumpkin, "The Lost Book of Enoch", Fifth Estate 2004, pp. 18-51.
15. Secondo la traslitterazione di P. Sacchi, "Apocrifi dell'Antico Testamento", vol. 1, UTET 1981, pp. 413-723.
16. E. Clare Prophet, "Fallen Angels and the Origins of Evil: Why Church Fathers Suppressed the Book of Enoch and Its Startling Revelations", Summit University Press 2000, passim.
17. Genesi 6,1-4.
18. I Enoch, XLVI,1-2.
19. Matteo 8,20; 9,6; 10,23; 11,19; 12,8, 12,32; 12,40; 13,37, 13,41; 16,13; 16,27-28; 17,12; 17,15; 19,28; 20,18; 20,28; 24,27; 24,30; 24,39; 24,44; 25,31; 26,2; 26,24; 26,45; 26,64; Marco 2,10; 2,28; 8,31; 8,38; 9,9; 9,12; 9,31; 10,33; 10,45; 13,26; 154,21; 14,41; 14,62; Luca 5,24; 6,5; 6,22; 7,24; 9,22; 9,26; 9,44; 9,58; 11,30; 12,8; 12,10; 12,40; 17,22; 17,24; 17,26; 17,30; 18,8; 18,31; 19,10; 21,27; 21,36; 22,22; 22,48; 22,69; 24,7; Giovanni 1,51; 3,13-14; 5,27; 6,27; 6,53; 6,62; 8,28; 9,35; 12,23; 12,34; 13,31.
20. S.J. Schepps, W. Hone, "The Lost Books of the Bible", Testament 1988, p.131.
21. Ad esempio: A.Tomas, "We Are Not the First: Riddles of Ancient Science", Bantam Books 1973, pp.14 ss.
22. E. Clare Prophet, Cit., p.311.
23. E. Von Daniken, "Gods from Outer Space", Bantam Books 1972, pp. 161-162.
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