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Verità scientifiche? - parte2

Ultimo Aggiornamento: 20/01/2009 08:17
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le storture dell’apparato scientifico
Verità scientifiche? - parte2: le storture dell’apparato scientifico

Molte istituzioni si auto-definiscono scientifiche, come la psichiatria, la psicanalisi ed il tristemente famoso “socialismo scientifico” che cianciava di “interpretazione scientifica della storia e dei rapporti sociali” ed altre idiozie di simile fatta. È da notare che l’epistemologo Popper definiva non scientifiche le teorie socialiste e quelle psicanalitiche perché assolutamente al di fuori dei meccanismi di possibile conferma o smentita (o meglio “falsificazione” se vogliamo essere più precisi da un punto di vista terminologico). Eppure ci sono stati, in una certa epoca storica, milioni di persone abbindolate da questa come da altre pseudo-scienze fasulle.

Se poi all’interno di una istituzione considerata (a torto o a ragione) scientifica si ignora o si stravolge il metodo scientifico ci sono anche delle cause insite nella struttura stessa della società scientifica, quale essa si è andata delineando in questi ultimi secoli, oltre alle cause legate a questioni di potere politico o di convenienza economica.

La prima di queste cause è che il contesto sociale influisce sul modo in cui le idee hanno origine, e quindi le ipotesi scientifiche sono figlie del mondo in cui vengono alla luce, di una società che ha una sua determinata morale, una sua religione; persino gli indirizzi e le correnti artistiche e letterarie esercitano un’influenza sul mondo scientifico (risentendone a loro volta). Tutta la conoscenza entra in un gioco di relazioni complesse col contesto storico-sociale-culturale-artistico in cui viene elaborata: la conoscenza è determinata da tale contesto e a sua volta contribuisce al suo modificarsi. È fin troppo evidente che in funzione del periodo storico e dell’ambiente sociale in cui si trova ad operare lo scienziato, ci sono ipotesi e teorie più o meno facilmente accettabili dalla società da una parte e dalla comunità scientifica dall’altra. È quindi purtroppo umanamente lcomprensibile che vengano privilegiate ipotesi più conformi a ideologie dominanti o interpretazioni che più rispecchiano il comune sentire di un certo periodo o ambiente culturale.

Per fare un esempio illuminante Freud iniziò il suo lavoro considerando vere le storie di abusi, violenze e molestie sessuali raccontate dalle sua pazienti, poi vedendo quanto fosse scomodo per la società borghese del suo tempo affrontare questa triste realtà, formulò un’ipotesi (squallidamente maschilista e meschina) secondo la quale i racconti di quelle donne erano tutte “fantasie malate”. La psichiatria in fondo continua a fare quello che faceva Freud; risulta infatti dalle loro statistiche che le donne sono depresse in misura doppia degli uomini, eppure gli psichiatri non affermano mai che sia necessario un cambiamento di mentalità e di cultura per eliminare il maschilismo imperante, ma dicono che le donne “depresse” sono da curare perché sono più soggette ad una malattia (la depressione) di quanto non lo sia l’uomo.

Il disagio sociale e umano mascherato da malattia, un’ipocrisia meschina per mascherare la vera violenza, per impedire la presa di coscienza, per impedire il cambiamento: ecco cos’è la vera ragione d’essere di certa pseudo-scienza da Freud fino ai giorni nostri. A qualsiasi sistema di potere (qualunque sia il sistema di governo e qualunque fazione politica sia al potere) sarà sempre più comodo etichettare come “malati di mente” le “pecore nere” che non si trovano bene in quel sistema, che in quel sistema soffrono, che non si adeguano, che non stanno nei ranghi, piuttosto che prendere atto del fatto che quelle “pecore nere” sono la manifestazione dell’alienazione e della violenza che viene causata dal sistema stesso con le sue strutture economiche, sociali, religiose, familiari. È il sistema sociale stesso che produce violenza, sofferenza e alienazione; come diceva Erich Fromm (stavolta cito uno psicanalista, come vedete non sono poi così intollerante come potrebbe sembrare) se proprio si deve parlare di malattia è la società ad essere malata e non il singolo uomo che soffre.

La seconda cosa che può portare allo stravolgimento del metodo scientifico (inteso qui nel suo senso più alto e ideale) è la struttura della comunità scientifica, che per tanti versi è una comunità chiusa con le sue leggi e consuetudini sociali che riflettono da una parte i pregiudizi del tempo e dall’altra le tipiche regole di inclusione/esclusione di qualsiasi casta di potere. Chi conosce la storia della scienza sa quale sia stato soprattutto in certi periodi il ruolo delle donne all’interno della comunità scientifica, si passa dalle matematiche che si fanno passare per uomo (nella corrispondenza epistolare) per potere essere accettate, alle biologhe che in quanto donne vengono tenute in disparte nonostante il loro brillante ingegno e le loro scoperte fondamentali nel campo della genetica (Barbara McCormack).

Qualcuno potrebbe facilmente ravvisare nella comunità scientifica un atteggiamento fin troppo simile a quello della casta sacerdotale del culto cattolico o musulmano: nessuno spazio ai ministri del culto al femminile. Nel suo libro I pantaloni di Pitagora (ed. Instar, 1986) la geniale Margaret Wertheim (laureatasi a 24 anni in matematica pura e fisica applicata) scrive “La fisica è la chiesa cattolica della scienza e, in quanto tale sarà l’ultima ad accogliere le donne in seno alla propria ortodossia”. E se è vero che nell’ambiente scientifico la donna ha ora più dignità e libertà che non nell’ambiente religioso il processo che porta alla formazione di uno scienziato è sempre un processo che dipende anche da fattori non oggettivi, fattori non in relazione con la preparazione e le capacità dell’uomo o della donna di scienza.

Tale processo è molto selettivo, un processo tale che a certe idee vengono riconosciuti uno status speciale e una speciale approvazione, mentre altre sono ignorate o trattate con disprezzo. Se Newton non era ben accetto alla comunità scientifica del tempo perché le sue idee erano troppo in contrasto con quelle allora in voga, altre persone invece compiono facilmente la scalata verso il successo in campo scientifico adeguandosi alla linea di quella che, in un determinato contesto storico e culturale, risulta essere l’ “ortodossia scientifica”. L’esempio più noto e più squallido è quello dei “biologi” tedeschi insigniti di onorificenze per avere “dimostrato” la inferiorità delle razze non ariane, altri esempi sono quelli dei mille medici che adeguandosi alla logica violenta e criminale dell’istituzione psichiatrica sono arrivati a coprire incarichi dirigenziali lasciando dietro di loro un immane carico di violenze (bambini trattati con elettroshock, persone bombardate di sedativi, private della loro libertà, private chirurgicamente di parte del cervello, ridotte come dei vegetali), le mille false teorie (puntualmente smentite) sulla causa genetica o virale di certe malattie. Un esempio che vale per tutti è quello dell’assegnazione del premio Nobel per la Medicina nel 1948 all’esecrando dottor Monitz, inventore di un procedimento di mutilazione e di tortura: la lobotomia.

Le scoperte di Newton sono arrivate fino a noi anche grazie alla sua testardaggine e grazie anche al fatto che tutto sommato era abbastanza facile provare molte delle sue ipotesi e verificare l’esattezza di quanto egli affermava. Quanti Newton nascosti ci saranno ai nostri giorni? Quanti scienziati che affermano verità scomode per la scienza ufficiale sono tenuti ai margini dei processi di finanziamento da una parte e di diffusione dell’informazione dall’altra? Se poi pensate che la scienza è sempre più specialistica e che la verifica di certe ipotesi non è sempre così facile, vi renderete conto facilmente di come è possibile, forse anche altamente probabile che la struttura del sistema di potere istituzionalizzato dell’apparato scientifico finisca per osteggiare lo sviluppo stesso della scienza.

Quindi succede spesso che chi vuole farsi avanti come ricercatore e scienziato deve sottoporsi ad un processo di omologazione, imparando gradualmente come comportarsi all’interno della comunità scientifica, approvando le linee guida della ricerca (già imposte da qualcun altro prima di lui), entrando nella scia delle teorie ufficialmente accettate. Essi apprendono quali tipi di pratiche siano accettabili e quali no, imparano come eseguire con successo ricerche sperimentali o teoriche, imparano ad incanalare nelle direzioni “giuste” (cioè approvate preventivamente da altri) i loro sforzi e le loro ricerche.

Insomma la struttura sociale della comunità scientifica per tanti aspetti somiglia a quella di qualsiasi altra struttura di potere, di qualsiasi casta, ed è la natura insita nella sua struttura a portare il germe della degenerazione, del dogmatismo, a causare il pericolo di una involuzione del cosiddetto sapere scientifico.

Il fatto che gli “scienziati” possano essere così manovrabili da una parte e manovratori dall’altra, dipende al giorno d’oggi per buona parte dal problema dei finanziamenti. Nel mondo attuale la ricerca scientifica e tecnologica è sempre più specialistica ed ha bisogno di ingenti finanziamenti per andare avanti. Dato che quasi nessuno scienziato può fare ricerca autonomamente ma ha bisogno di stanziamenti elargiti dal governo a da qualche altro ente, è facilissimo (avendo in mano il cordone della borsa) condizionare gli indirizzi della ricerca. Per altro non è per niente rara la cattiva abitudine di falsificare del tutti i dati e i risultati della ricerca stessa.

D’altronde la falsificazione dei dati, o in certi casi la loro completa invenzione, non sono una pratica nuova: come mostra Federico Di Trocchio, professore di storia della scienza all’università di Lecce nel suo libro Le bugie della scienza (Mondadori, 1994) ci sono non solo premi nobel moderni (come i fisici Segrè e Millikan), ma persino illustri personaggi del passato (Copernico, Galileo e Newton) che hanno falsificato le loro ricerche, che hanno rubato le idee ai loro colleghi, che hanno inventato dati ed esperimenti o che hanno copiato i dati da altri scienziati senza citare la fonte. Galileo per esempio non ha mai fatto il tanto decantato esperimento del lancio di due oggetti di peso differente dalla torre di Pisa: se l’avesse fatto avrebbe scoperto che i due gravi non impiegavano lo stesso tempo a cadere a terra, in quanto (a parità di forma) gli oggetti più pesanti risentono meno dell’attrito dell’aria e cadono con velocità maggiore. Di Tolomeo (vissuto ad Alessandria d’ Egitto) si è scoperto che per i suoi lavori astronomici ha copiato i suoi dati da Ipparco (vissuto a Rodi 3 secoli prima): fra le stelle da lui catalogate non ce ne è nemmeno una di quelle che da Rodi non si vedono e da Alessandria sì (Grasshoff G. The history of Ptolemy’s star catalogue Springer, New york, 1970). Newton ha spesso modificato i dati che servivano ai suoi calcoli per riuscire a far quadrare i conti (vedi il già citato libro del professor Di Trocchio), Freud ha letteralmente inventato gran parte delle notizie riportate sui suoi casi clinici (vedi l’articolo di F. Cioffi: Was Freud a liar? Journal of orthomolecolar Psychiatry n. 5, 1976, pag 275-280, nonché il già citato libro del prof. Di Trocchio).

Questo “mito della psicanalisi” questo mostro sacro da tanti rispettato ed onorato ha fondato le sue teorie e le sue prassi psicanalitiche sui casi clinici da lui descritti, e ha fondato tali casi clinici sulla sua fervida immaginazione, uno dei peggiori casi di falsificazione scientifica. La persona descritta ne L’uomo dei lupi quando fu intervistata anni dopo la pubblicazione dello scritto di Freud smentì tutte le notizie diffuse dal “padre della psicanalisi”: non solo la descrizione della sua storia era stata adulterata, ma ancora peggio il povero uomo non era mai guarito dalle sue paure e dalle sue ossessioni. Il successo terapeutico di cui si vanta Freud nei suoi libri a quanto pare se l’è inventato da solo; di converso dopo essere stata in analisi dal padre, la povera Anna Freud ha dovuto far fronte a gravi problemi psicologici.

Gli stessi vertici degli istituti di ricerca scientifica in genere sono occupati da persone che arrivano a certe posizioni di potere proprio grazie ad una certa collaborazione e ad un certo servilismo nei confronti dei poteri forti, si tratta di persone che hanno accettato i giochi del potere, che hanno accettato gli indirizzi di ricerca dell’ortodossia scientifica, che hanno sposato le ideologie dominanti; tranne casi rari, solo chi si fa accettare allineandosi ed omologandosi a questo modo di fare riesce nella sua scalata al vertice del potere scientifico.

Per non parlare delle vicendevoli coperture che tutti i poteri da sempre si sono garantiti a vicenda, specialmente quando si tratta di persone della propria casta: difficilmente vedrete un docente attaccare un docente, un medico accusare un medico, uno scienziato denunciare un altro scienziato.

Per chiudere ribadisco come la corsa ai finanziamenti possa contribuire notevolmente a generare frodi scientifiche. A tale proposito riporto un brano di un’intervista del professor Federico Di Trocchio (docente di storia della scienza) realizzata da Letizia Gabaglio e pubblicata sul sito internet www.galileonet.it/: “[in America] i soldi destinati alla ricerca sono, al netto dell’inflazione, sempre gli stessi, mentre il numero di progetti presentati è cresciuto vertiginosamente. È ovvio quindi che i ricercatori siano sempre più in competizione fra loro e che per ottenere i finanziamenti siano disposti a falsificare dei dati per renderli più sensazionali. In poche parole non si compete più per la gloria ma per i soldi. In Europa (…) la tendenza è quella di adottare il sistema americano, proprio adesso che sta fallendo.”

Le soluzioni che propone Di Trocchio sono: “Più creatività e meno soldi. La storia della scienza ci insegna che la ricerca ha prodotto di più quando gli scienziati erano di meno e conducevano una vita umile. Di quanti scienziati ha bisogno una società? Secondo me ne bastano pochi. Fermi e i suoi colleghi pagavano le apparecchiature di tasca propria, e in tempi più recenti Rubbia ha battuto sul tempo gli americani mettendo in pratica una semplice idea sperimentale”.
Queste parole sono da tenere in mente quando si pensa a strutture mediche con migliaia di “specialisti” che devono “con ogni mezzo necessario” procacciarsi finanziamenti per continuare ad esistere come tali.

Qualcuno però potrà chiedersi come sia possibile che non si scoprano subito simili truffe e come sia così facile metterle in piedi e continuare a ricevere finanziamenti. In teoria una ricerca per essere considerata valida deve essere verificabile e ripetibile da altre strutture, da altre equipe di scienziati. Se tale ricerca di cui si dà comunicazione su un bollettino scientifico viene confermata da articoli su altre riviste specializzate la si può considerare come “vera” o quanto meno “attendibile”. Però non sempre tutto è così nitido come dovrebbe essere e quella che segue è una semplice spiegazione di come si potrebbe fabbricare una truffa scientifica.

Siccome ogni laboratorio è alla ricerca di finanziamenti, e siccome ogni scienziato desidera farsi un nome, con un po’ di furbizia si può sempre inventare qualcosa sfruttando le tendenze del momento, ossia adeguandosi ai modelli di interpretazione dei fenomeni scientifici più in voga al momento: per esempio in questi anni funziona bene qualsiasi “ricerca” in cui si dimostra che il gene “alfa” causa la malattia o il comportamento “beta”, vedi le ridicole “ricerche” che “dimostrano” le cause genetiche dell’omosessualità, della schizofrenia, della propensione al gioco d’azzardo … tutte puntualmente smentite, come dimostra il genetista ortodosso Bertrand Jordan nel libro Gli impostori della genetica (Einaudi, 2002).

Per riuscire meglio nella truffa ci si può trovare l’appoggio di un qualche scienziato “di chiara fama” (che magari a sua volta è divenuto tale grazie a chissà quali manovre e quali appoggi politici) che mette la firma accanto alla propria, trovare o fingere l’appoggio di un istituto di ricerca prestigioso (potrebbe bastare anche l’utilizzo abusivo dei fogli di carta ad esso intestata per spedire l’articolo alle riviste scientifiche). E poi non vi preoccupate, la ricerca scientifica è così frammentata e specializzata che pochi possono essere in grado di smentire un simile “lavoro”, specie se la falsa ricerca “scopre” quello che per ora tutta la scienza ortodossa si aspetta di scoprire.

Può succedere addirittura che il primo articolo pubblicato su una rivista grazie ai potenti appoggi che ci si è procurati sia ripreso e citato da altri autori su altre riviste; a questo punto l’artefice della truffa potrà citare a conferma della sua ricerca altri nomi prestigiosi che ne convalidano la validità. Poi c’è sempre la possibilità di citare “comunicazioni personali” (lettere private o telefonate) con un altro scienziato, possibilmente lontano, di lingua non inglese o addirittura da poco defunto.

In fondo è possibile anche inventarsi di sana pianta i risultati e le tabelle coi dati; per quanto detto prima più l’esperimento è lungo, complesso, più richiede strumentazione specifica e costosa e meno sarà facile per chiunque altro verificarne l’esattezza. Esperienze recenti dimostrano che se anche un impiegato in laboratorio se ne va e denuncia la frode, è improbabile che venga creduto. Se poi qualcuno ha la voglia e la pazienza di fare uno studio analogo arrivando a risultati totalmente differenti lo si può sempre accusare di non avere seguito la stessa procedura o di aver fatto qualche altro errore.

È fidandosi di questo ben noto margine di manovra che W. S. Aronow (cardiologo e consulente della FDA) inventò tutti i dati dei suoi test su 4 farmaci che dalle sue “prove” risultavano efficacissimi sulla cura e la prevenzione di varie affezioni cardiache. Quando si indagò su di lui Aronow tanto fece e tanto brogliò che riuscì a far sì che le sue frodi fossero comunicate solo alle aziende farmaceutiche per le quali aveva lavorato in passato. Uno squallido personaggio di questo tipo quindi può ancora “lavorare” per “testare” farmaci.

Poi ci sono casi di ricerche totalmente e intenzionalmente scorrette che formalmente (o meglio statisticamente) possono sembrare perfette. Mi riferisco ad esempio al caso dell’agente antibatterico TCC della Monsanto che fu testato su topolini allevati in condizioni così inadeguate e malsane che non si riusciva a discriminare se la causa della morte fosse “naturale” o tumorale (di questi ed altri casi di statistiche truccate potete leggere in maniera più approfondita sul libro già citato del professor Di Trocchio). In realtà nessun esperimento compiuto su cavie animali possa avere validità scientifica, perché un composto innocuo per l’uomo può non esserlo per l’animale (e viceversa), perché gli animali in cattività sono comunque sottoposti a stress psichici, perché cambiando le condizioni di stabulazione (come gli animali vengono custoditi e nutriti) e la specie animale su cui effettuare l’esperimento si possono ottenere risultati completamente differenti e quindi all’occorrenza dimostrare quello che si vuole.

I dati ufficiali sulla “cura del cancro” sono basati sullo stesso tipo di uso distorto della statistica. In effetti la statistica è una delle armi più usate per mentire, camuffare, imbrogliare in qualsiasi campo: politico, sociale, economico, scientifico. Ad e esempio per “dimostrare” che i negri hanno un quoziente intellettivo inferiore dei ricercatori (ovviamente bianchi) statunitensi hanno paragonato tramite dei test i bambini neri delle squallide periferie urbane (malaticci, sottonutriti, spesso lasciati a loro stessi e poco seguiti dai genitori) coi bambini bianchi che vivono nei ricchi centri urbani. Per “dimostrare” che il vaccino contro la poliomielite serve a prevenire la malattia le autorità sanitarie da un anno all’altro (subito dopo la campagna di vaccinazione di massa) non hanno più registrato i casi leggeri e quasi asintomatici di malattia, ma solo quelli più gravi: va da sé che cambiando il metodo di conteggio al momento opportuno, i casi di polio appaiono diminuire drasticamente dopo le vaccinazioni.
scienzamarcia.blogspot.com/

1° parte:
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