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Sulla coscienza

Ultimo Aggiornamento: 07/05/2009 18:37
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09/01/2009 15:00
 
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capitemi, sono un perito, quindi io e la filosofia non siamo proprio parenti... però...
Per poter comprendere il significato della coscienza è necessario analizzare prima il termine dal punto di vista semantico. Infatti le nostre parole sono estremamente specifiche nel definire le cose di cui parliamo, ma sfortunatamente perdono delle sfumature emozionali degli archetipi.

Tratto da Wikipedia:

“Il termine coscienza deriva dal latino Cum-scire ("sapere insieme") ed indicava originariamente un determinato stato interiore.

Anticamente con coscienza si intendeva qualcosa di diverso da ciò che si ritiene oggi nell'ambito psicologico e filosofico. Non tutti gli antichi dividevano l'uomo in mente e corpo. Anzi era molto diffusa l'idea (oggi tornata alla ribalta) che l'uomo avesse tre funzioni relativamente indipendenti chiamate "centro intellettivo", "centro motore-istintivo" e "centro Emozionale", collocate rispettivamente: in una parte dell'encefalo, nella parte terminale della colonna vertebrale (dove un tempo nell'uomo compariva la coda) e nella zona del plesso solare, in quelli che sono oggi chiamati "gangli del simpatico e del parasimpatico". Ebbene "coscienza" indicava quello stato interiore di sintonia tra i tre centri (sapere insieme) che, se raggiunto, permetteva all'uomo di elevare la propria ragione.

La psicologia tradizionale indica con coscienza una funzione generale propria della capacità umana di assimilare la conoscenza. All'inizio vi è consapevolezza, cioè constatazione attiva della nuova conoscenza, quando a questa segue la permeazione definitiva del nuovo come parte integrante del vecchio, si può parlare di coscienza.

Questa funzione, applicata al susseguirsi di fenomeni di conoscenza (non solo sensoriali) genera il fenomeno della coscienza. Come fenomeno dinamico che si protrae nel tempo può essere identificata come un vero e proprio processo.”

Quindi, secondo questa interpretazione generale noi acquisiamo coscienza allorché impariamo a conoscere il mondo che ci circonda e noi stessi.
Di fatto, tuttavia, bisogna notare che la coscienza non è solo in quanto interiorizzazione dell'atto di apprendimento, perché altrimenti non ci sarebbe uno stimolo all'acquisizione di conoscenza per poter accrescere il proprio stato coscienziale. La spinta deriva chiaramente da una necessità interiore, cioè una necessità di natura psicosomatica –nella forma della psiche di Jung che comunica una necessità al corpo (soma). Ma come si può concepire che ci sia una necessità laddove non ci sia già, in potenza, un'informazione? É possibile concepire che si possa “desiderare” qualcosa che non sappiamo che esiste? Era pensiero degli Empiristi che questo non fosse possibile, l'immaginazione non può restituire qualcosa di assolutamente inesistente. Questo concetto, chiaramente, è di grande importanza perché se così è, allora noi abbiamo al nostro interno un bagaglio di informazioni non astratte (cioè non in forma di concetto astratto) che sentiamo la necessità di conoscere per poi immagazzinare nella nostra coscienza. Come possiamo definire questo bagaglio potenziale intrinseco che ognuno di noi si porta dietro dalla nascita (anche se è convinzione, di chi scrive, che in realtà sia da prima della nascita)? Personalmente, ho trovato ispirazione dalle parole di uno degli Empiristi più noto al mondo per essere uno dei padri del calcolo infinitesimale e integrale: Gottfried Wilhelm von Leibniz. Nel campo della metafisica, Leibniz apportò il suo contributo secondo il pensiero Monadologico. La Monadologia introduce il concetto di Monade, cioè entità singola, unica e indivisibile (dal greco monòs) simile agli atomi di Democrito, ma di fatto insostanziali, cioè gli atomi dell'incorporeo, del metafisico. Sinesio di Cirene per esempio definisce Dio come la Monade delle Monadi.
Leibniz parlando delle monadi le definisce come "forme sostanziali dell'essere", in altre parole: “Le Monadi sono delle specie di atomi spirituali, eterne, non scomponibili, individuali, seguono delle leggi proprie, non interagiscono, ma ognuna di esse riflette l'intero universo in un'armonia prestabilita. Dio e l'uomo sono anche monade: le monadi differiscono tra loro per la diversa quantità di coscienza che ogni monade ha di sé e di Dio al suo interno.”

Come sovente succede, è bello scoprire che qualcuno ha trovato le parole che a te mancavano per descrivere una sensazione interiore che non trovava espressione dentro di te... è successo esattamente così con me appena ho letto le parole di Leibniz.

Tornando al corpo della discussione, bisogna però cercare di individuare il nesso fra il “bagaglio informativo potenziale”, la coscienza e le monadi. Per far questo è importante rifarsi al concetto dell'universo olografico di Bohm e alle implicazioni che ci sono nel trattare un sistema olografico (non locale), rispetto ad uno locale.
David Bohm, fisico teorico americano di origine tedesca, lavorò a stretto contatto con Einstein e Feynman. Dalla sua visione dell'universo si evince che le proprietà della materia non sono locali, cioè le particelle comunicano fra loro anche a distanze enormi con velocità superiori a quelle della luce. Non voglio tediare il lettore con trattazioni fisiche complesse e quindi arriverò subito alla conclusione che l'Universo è in realtà un gigantesco ologramma e noi siamo in grado di percepire la realtà che ci circonda grazie al fatto che siamo stati dotati di un lettore di ologrammi: il nostro cervello.
Come funziona un ologramma: un ologramma è una foto fatta utilizzando un laser, ma l'immagine che abbiamo fotografato diviene visibile solo quando si illumina l'ologramma con una luce bianca, altrimenti quello che si vede sono solo una sequenza di linee fittamente incise dal laser sulla superficie della lastra olografica, cioè quello che viene chiamato: il percorso di interferenza. Bene, fin qui poche novità, ma una proprietà che è molto meno nota degli ologrammi è che, allorché io tagliassi un ologramma in due parti, le due parti sarebbero in grado di riprodurre l'ologramma originale in ogni dettaglio... gulp!... questo è di un'importanza fondamentale. Essendo ogni essere vivente, ogni più minuscola particella subatomica, ogni più grande pianeta che vaga nel cosmo, una parte dell'universo, ecco che ognuna di queste cose possiede in se l'informazione di tutto l'universo.
Questo è esattamente il collegamento che cercavamo nel comprendere cosa potesse essere quel “bagaglio informativo potenziale” al quale l'uomo attinge nel generare conoscenza e quindi coscienza. Detta in un altro modo: noi siamo composti da monadi le quali sono originate dalla Monade delle Monadi (il Creatore) e quindi le nostre monadi contengono potenzialmente tutta l'informazione della monade da cui sono state originate. Ecco che la Monade origine non è nient'altro che la coscienza universale, il bagaglio informativo potenziale, al quale noi accediamo attraverso la lettura dell'ologramma. Il concetto di Monade è stato qui utilizzato per comprendere il legame che c'è fra la nostra coscienza e la nostra coscienza potenziale, cioè la coscienza universale, chiamata anche dagli antichi l'Akasha, la Biblioteca del sapere universale.

Adesso però si potrebbe anche dire che sono dei bei discorsi, ma non si riesce bene a comprendere come questo possa modificare la vita di tutti giorni. Una cosa che mi ha sempre disturbato nello studio della filosofia, è la sua apparente disconnessione dalla quotidianità... dico apparente perché il lavoro dei filosofi è stato enorme, ma sta ad ognuno di noi costruire le connessione che mancano fra il pensiero e l'azione: trasformare cioè la coscienza potenziale in coscienza personale. Già da questa prima considerazione appare chiaro che per poter crescere in coscienza bisogna averne e nella rappresentazione dell'uomo nella triade mente, spirito e anima questo è possibile in virtù del fatto che le tre parti sono dotate di coscienza, tuttavia in misura diversa. Potenzialmente chi è dotato di più coscienza è quella parte che meno è legata allo stato materiale, cioè l'anima, seguita dalla parte che rappresenta i nostri istinti e le nostre passioni, cioè lo spirito, fino ad arrivare alla mente il cui lavoro è quello di astrarre le informazioni che arrivano da spirito/anima e dal corpo e che è anche dotata del minor bagaglio coscienziale. É l'anima quindi che ci da quello stato di irrequietezza davanti alla possibilità di accrescere la nostra esperienza e quindi la nostra coscienza.

So già che, in un certo senso, non tutti condivideranno quanto segue. Alcune delle mie considerazioni si basano tuttavia su dati sperimentali. Quello che ogni ricercatore deve fare è valutare il dato sperimentale allo scopo di ottenere un modello che descriva lo stato delle cose. In altre parole, il ricercatore osserva la coscienza universale all'opera per poter trasformare questo dato in conoscenza che verrà poi incorporato come coscienza individuale. In un certo modo, quindi, è coscienza che genera coscienza, cioè è l'universo che guarda se stesso come in uno specchio. La difficoltà principale che si ha ad affrontare queste tematiche non è solo relativa al rischio di divenire autoreferenziali e perdere di sostanza, ma piuttosto anche il fatto che la lingua verbale manca degli strumenti necessari alla descrizione dell'evento naturale (o coscienza universale all'opera) e successiva astrazione dei concetti che ne regolano il comportamento. Oltretutto, il fatto che la società si sia fondata sulla assunzione che la realtà è fatta di piccole scatolette chiuse ermeticamente nel quale noi mettiamo tutto ciò che può essere classificato secondo un numero di proprietà ristrette, non aiuta ad analizzare una come come la realtà materiale che, essendo un unico evento universale, può ammettere solo un metodo interpretativo.
Ci hanno insegnato che la ricerca del divino e la ricerca delle leggi che regolano l'universo non possono essere accomunate, ne tanto mento le leggi che regolano un evento possono spiegare l'altro... mi sembra inutile a questo punto dire che io sono fortemente contrario ad una interpretazione di questo genere. Questa chiave di lettura ha fornito, come unico risultato, la formazione di due caste religiose contrapposte: quella degli ecclesiastici e quella degli scienziati, che lottano per la supremazia ed il controllo delle masse.
Se quanto affermato fin qui, riguardo alla composizione dell'universo è vero, allora si può trarre una sola conclusione: il Creatore è l'universo stesso. Allo scopo di rafforzare questa ipotesi, analizziamo alcune considerazioni sia di natura prettamente religiosa, sia di natura prettamente scientifica. Questo esercizio dovrebbe oltretutto aiutare ad individuare le caratteristiche comuni nelle due discipline.
Ci è stato insegnato, fin da piccoli, che, nell'eventualità che ci fosse un Creatore, allora questo sarebbe stato esempio di perfezione. Nell'analizzare il concetto di perfezione tuttavia è necessario non confondere fra due caso estremi della stessa manifestazione:


* è perfetto ciò che riesce in ogni istante a resistere ad ogni sollecitazione volta a disturbare il suo unico stato di equilibrio e le sollecitazioni a questo stato sono di origine esogena (sistema aperto)

* è perfetto ciò che ammette solo sollecitazioni endogene e quindi ogni perturbazione ad uno stato di equilibrio porta solamente ad un nuovo stato di equilibrio, talvolta diverso dal precedente (sistema chiuso).


A mio modo di vedere, il secondo sistema è l'unico da potersi considerare perfetto, dal momento che non ammette perturbazioni esterne... un po' come dire che i panni sporchi si lavano in casa. Nel primo caso invece, non è possibile ammettere che non esista, in senso assoluto, una perturbazione esogena che destabilizzi talmente lo stato di equilibrio da distruggere il sistema. Se consideriamo un ecosistema ci possiamo rendere conto di come la seconda definizione di perfezione si metta in opera: se per una qualche ragione, ci fosse un disequilibrio nella popolazione di carnivori (aumento) in una regione, il numero di erbivori verrebbe ridotto, conseguentemente i carnivori avrebbero meno cibo (aumentando pur tuttavia il numero di risorse potenzialmente disponibili per gli erbivori) e inizierebbero ad essere decimati dalla fame. Ecco che poi il sistema si riporta al suo stato di equilibrio originale dal momento che gli erbivori hanno di nuovo maggiori probabilità di riproduzione e maggiori risorse a disposizione... la perturbazione endogena non è mai sufficiente a distruggere il sistema. Anche nel caso dell'uomo questo è vero, infatti noi siamo la perturbazione che porta ad un nuovo stato di equilibrio: la nostra presenza ha modificato talmente tanto l'ecosistema che, anche nel caso di una guerra termonucleare globale, il pianeta può (anche se in tempi lunghi anche dal punto di vista geologico) tornare ad un nuovo stato di equilibrio con un nuovo ecosistema (in altre parole non dovremmo essere presuntuosi anche nel considerarci “la morte di questo pianeta”... noi non siamo niente).
Adesso, per verificare la bontà dell'ipotesi “perfezione”, prendiamo in considerazione le sue conseguenze considerando che il Creatore è l'universo in quanto sistema chiuso: questo implica la sua onnipresenza dal momento che il Creatore è ogni punto dell'universo, implica anche la sua onniscenza essendo lui la coscienza universale stessa, implica anche l'atto della genesi stessa dal momento che è da lui che tutto viene e è a lui che tutto va quando il suo ciclo vitale è finito. Credetemi se vi dico che questo discorso non ha niente a che vedere con la religione, non è assolutamente mia intenzione far proseliti. Tutto questo implica tuttavia che se il Creatore è la coscienza universale allora il Creatore stesso è dentro di noi sia in forma coscienziale sia in forma materiale. Riprendendo a prestito i concetti espressi dalla Monadologia, allora la monade delle monadi è in realtà il contenitore delle monadi che costituiscono gli esseri viventi.
La coscienza universale quindi contiene le coscienze individuali.

La fine della prima parte di questa mia trattazione, concludeva dicendo che purtroppo non siamo tutti uguali. Anche gli Empiristi ritenevano che le monadi non fossero tutte uguali in quantità, qualità e capacità di riflettere il Creatore. Ogni giorno noi vediamo il risultato di questa cosa, il comportamento delle persone verso le persone stesse è il risultato del loro livello di coscienza. Più una persona conosce se stesso e più conosce il mondo attorno equivalentemente. Attraverso il processo di interiorizzazione della conoscenza e trasformazione di questa in coscienza, noi comprendiamo le conseguenze delle nostre azioni e siamo in grado di anticipare i risultati di azioni simili nel nostro prossimo. Due delle conseguenze dirette dell'acquisizione di coscienza è la sua irreversibilità e la sua inevitabilità: si acquisisce sempre coscienza, a volte più lentamente e a volte più velocemente, qualora però si volesse tentare di fare un passo indietro questo non ci sarebbe concesso, quando si impara ad andare in bicicletta lo si sa fare e basta, anche se si dovesse smettere di andarci per lunghi periodi di tempo. C'è tuttavia anche un altro aspetto, aumentando il livello di coscienza aumenta anche l'intensità del dolore: si riesce maggiormente a comprendere le conseguenze di un danno nei nostri confronti, ma anche maggiore diviene il transfert emozionale qualora un nostro vicino caro fosse danneggiato. Qualcuno magari potrebbe essere portato a credere che quindi acquisire coscienza sia una dannazione (in fin dei conti l'adagio dice “beata ignoranza”), ma non è così: la coscienza da la rara opportunità di comprendere i meccanismi intrinsechi dell'essere e dell'universo che ci circonda e conoscerli ci permette di modificarne lo stato in modo mirato. Una persona con elevata coscienza si percepisce a distanza, pensate ai guru indù e a come, tutti coloro che si sono trovati in loro presenza abbiano sentito come se emanassero tranquillità, quasi beatitudine. Una persona con elevata coscienza sa sempre quali sono le sue opzioni e non vive trasportato dalle conseguenze delle sue azioni maledicendo l'apparente impossibilità a fare diversamente. Una persona con elevata coscienza sa che quello che è e quello che ha davanti è mutevole e che la realtà materiale non è importante e tende a decadere. Una persona con elevata coscienza non vive le sue mancanze come una deprivazione, ma sfrutta quello che ha per evolvere ad un nuovo stato. Una persona con elevata coscienza conosce i suoi limiti e sa che sono li per essere infranti e non vive la sua esistenza pensando che la sua natura è inevitabile e non mutevole.

Lungi da me adesso iniziare con conclusioni indirizzate all'esortare chi che sia a prender coscienza... l'acquisizione di coscienza è un percorso individuale e io mi accontenterei se fossi stato in grado di instillare l'interesse, in chi legge, di saperne di più. Da parte mia mi accorgo che, se mi osservo, noto che molte cose sono cambiate, a volte piacevoli e a volte meno piacevoli sono stati i motori del cambiamento... d'altra parte però, non si arriva in un posto se non per ripartire e quindi il processo è ben lungi dall'esser terminato... che il futuro porti a tutti saggezza.

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Nessuno dice nulla? cos'è: silenzio/assenso (preferivo silenzio/assenZIO ;))?
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Ciao Von, ammetto che per mancanza di tempo ( tu sai perchè ) ho rimandato la lettura di questo post certa che altri sarebbero intervenuti.
Ad essere sincera devo dirti che c'è poco da rispondere, secondo me la tua analisi è perfetta non lascia spazio a commenti ulteriori ma è da stimolo alla riflessione.
Grazie per il tuo post che condivido in tutto.
Potranno fermarne uno ma non potranno fermarci tutti!
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Accidentaccio Von il discorso è estremamente affascinante-

E' da quando il Malanga ha esposto la teoria del "superSpin" che mi sono posto il problema, ma la sola cosa che ho capito è che la coscienza o meglio l'essere coscienti è forse l'unico traguardo che dovremmo avere-
Il discorso delle Monadi è interessante, non ho mai letto nulla di Leibniz ,(e penso che non lo farò, mal di testa evitato [SM=x1787331])-

H0 trovato interessante il passaggio Conoscenza-Coscienza , anche se il processo per avere conoscenza è verificabile e sperimentabile. il passaggio dalla conoscenza alla coscienza mi è ancora misterioso-
L'unica cosa che posso dire a riguardo è ricordare e condividere, una frase che mi disse un vecchio pittore naif, conosciuto molti anni fa,(una di quelle figure che non troveremo mai nei libri , ma che considero importanti proprio per il loro anonimato) -
Questo vecchio viveva in montagna e disegnava su grosse pietre utilizzando grossi carboncini di legna bruciata, i suoi lavori duravano pochi giorni, il primo acquazzone cancellava tutto e lui divertito poteva creare un nuovo disegno-
ma era sopratutto il suo modo di disegnare che mi affascinava, i suoi alberi, gli animali, il paesaggio che ricreava avevano una intensità "emotiva" che mi incantava e mi facevano ricordare le pitture rupestri ( hai presente Altamira, Lascaux )-
Io mi sedevo vicino a lui, con le mie belle matite colorate e la costosa carta Fabriano e cercavo di disegnare,tentavo solo!-

Un bel giorno stufo di vedere le mie macchiacce mi disse in dialetto:
" Se vuoi disegnare uno stambecco ,prima lo stambecco lo devi avere qui ( e si indicò gli occhi e la testa) ma lo potrai disegnare solo quando è qui ( e la mano destra era posata sul cuore)-

Allora non avevo capito un bel niente!!-
Adesso penso che sia il gioco Conoscenza-Coscienza -

a presto viandante
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10/02/2009 13:08
 
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hai fatto una bellissima analisi Von.
complimenti.
io mi permetto di fare una piccola riflessione.
se è vero che l'universo è l'immagine della coscienza allora la coscienza è l'immagine dell'universo, e l'universo è fatto di coscienza ed incoscienza.
comprendere questo vuol dire avere coscienza, non comprenderlo vuol dire non averne.
siamo la stessa cosa, qualcuno se ne rende conto qualcuno meno, e ciò non di meno, in entrambi i momoenti, coscienza/incoscienza, siamo la stessa cosa.
io sintetizzerei che l'incoscienza esiste perchè dio perpetua continuamente la scielta di esser cosciente.
noi decidiamo che cosa è dio perchè a noi,in questa virtualità, la constatazione di quello che siamo appare come una scelta.
e siccome la capacità di decidere è, a parer mio, prerogativa della coscienza, mi sento di affermare che il momento in cui "decidiamo" di esser coscienti non è altro che il ricordo o la perpetuazione dell'atto di creazione dell'universo.
se l'universo fosse un frattale la lampadina (coscienza) si accende quando attraversiamo la radice del frattale dalla quale si dipana per l'ennesima volta ed infinite volte ancora la struttura dello stesso.
tutti facciamo parte del frattale, ma non tutti vivono la vertigine di attraversarne la radice.
saluti anche avoi: nimah e viandante

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sul frattale forse dovrei essere un po più chiaro:
io intendo con la frase "attraversare la radice del frattale" non effettivamente passare per un punto geometrico preciso dello stesso, bensì il percepire di essere contemporaneamente il ramo che genera la foglia e la foglia generata dal ramo.
capite anche me... sono solo un geometra.
bye
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12/02/2009 10:40
 
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L'analisi della transizione fra conoscenza -> consapevolezza -> coscienza Piaget ha scritto e detto molto, infatti uno studente interrogato subito dopo una lezione sarà in grado di esporre perfettamente quello che ha sentito, ma non sarà in grado di farlo se l'interrogazione avviene anche 12h dopo. Il processo di interiorizzazione quindi necessita di periodi più lunghi e di tempo dedicato allo "studio" di un fenomeno. Tempo fa ci fu una discussione su "come sviluppare la telecinesi"... io dissi allora che c'era bisogno di immaginarsi come sarebbe andata, immaginarsi una teoria e iniziare con le ipotesi di lavoro per lo sviluppo di una cosa del genere... cioè costruire la conoscenza del fenomeno, il percorso successivo sarebbe stato quello di metabolizzare la conoscenza acquisita in consapevolezza e successivamente in coscienza.
Se chiedi ad anima di insegnarti come fare la sua risposta sarà sempre "è facile... si fa così" perché anima è già coscienza, ma quello di cui uno ha bisogno è di interiorizzare il meccanismo, cioè legare imprescindibilmente i due emisferi del cervello.

Lieto che vi sia piaciuta :).
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04/05/2009 16:24
 
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Ciao, riprendo questa discussione perché l'ho trovata interessantissima, anche se l'ho letta dopo un po' di tempo!!!

Copio e incollo una mia precisazione su Anima e Coscienza, che avevo postato su un'altra discussione sul forum di Sentisoria (abduction), nella quale si discuteva sull'essere Anima e avere Anima.

Credo però che quel che ho scritto sia più appropriato su questo topic.

Un grazie a Von perché in poche righe ha scritto tutto il necessario!


Sulla Coscienza... e su Anima

Anima è una sorgente luminosa, che con la Coscienza Universale crea. La prima è la Volontà, la seconda corrisponde all’Intelletto. La Coscienza Universale sa di esistere, ma vorrebbe capire com’è fatta, quindi agisce attraverso la Volontà ( Anima) allo scopo di creare la virtualità, utile per comprendere fino in fondo com’è fatta sé stessa. Anima è parte della Coscienza Universale. All’origine è pura Anima, pura volontà… Poi però nasce la virtualità.

Dopo le righe precedentemente stese, possiamo tutti constatare che quindi, tutti abbiamo parte di Anima e parte di Coscienza. Ma viviamo nella virtualità, che serve alla Coscienza per conoscere sé stessa, e non abbiamo solo Anima come componente con Coscienza (Anima viene chiamata così da Corrado ma potrebbe essere chiamata anche Pomodoro!), abbiamo anche Spirito e Mente. Ognuno di queste componenti rappresenta un qualcosa di particolare. Anima/Pomodoro rappresenta l’Emozione, lo Spirito il Sentimento e Mente la Ragione. Tutte queste componenti hanno parte Coscienziale. Anima/Pomodoro ne ha leggermente di più, le altre un po’ meno, ma questo non significa che chi ha Anima/Pomodoro è più fortunato, poiché essa è solo una parte di Emanazione di Coscienza ed Anima. Anima/Pomodoro non ha l’asse del tempo, Spirito quello dello spazio e Mente quello dell’energia, ma alla fine il contenitore ha comunque parte di Coscienza.

Cosa voglio dire con tutto questo? Voglio solo dire che tutti hanno Anima ( quella reale intendo), ma non tutti hanno Anima /Pomodoro. Ma non ce ne può fregà di meno, perché tutti abbiamo parte della Coscienza Universale.
Il titolo del post mi fa sorridere: “Avere Anima o essere Anima?” Che significa? Non significa nulla. Tutti abbiamo parte di Anima e parte di Coscienza Universale. Non tutti sanno di essere parte dell’Universo e di conseguenza chi non lo sa non usa le potenzialità che ha, ma che non sa di avere, chi invece sa di Essere perché esiste, si muove in base alle sue potenzialità.

Poi altra cosa; viviamo in questa matrix, nella quale le nostre componenti ci sono nascoste dalla vita che ci circonda, dai vari problemi e dai vari casini che ci fanno diventare matti. Noi dimentichiamo spesso che siamo qui in un corpo, perché qui dobbiamo fare esperienza. Quindi è abbastanza ovvio che non possiamo essere quello che eravamo nella Realtà Reale. Lì eravamo Coscienza Animica (se vogliamo dargli un solo nome ), qui possiamo ricordare che lo eravamo, che lo saremo, ma che ora siamo l’insieme di alcune componenti che in qualche modo rappresentano quella lontana Coscienza Animica.

Credo che in un qualche modo accada a chi sa di Esistere, di provare delle sensazioni che sono lontane dalla realtà virtuale, il tempo della durata è relativo, poiché il tempo non esiste!

Una volta mi è successo che dopo aver finito di leggere “La profezia di Celestino” sono andata in montagna con il mio compagno. Il libro mi aveva donato una consapevolezza diversa. Questa consapevolezza forse l’avevano notata anche le farfalle che si appoggiavano su di me, mentre andavamo a passeggio per un sentiero e l’Emozione è stata grandissima. Anima/Pomodoro si faceva sentire più che mai. Ma non confondiamo l’emozione di Anima/Pomodoro con l’Essere Coscienza Animica… io almeno la penso così!

Saluti.
[Modificato da butterfly.76 04/05/2009 16:26]
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L’impatto dell’anima col mondo terreno
è davvero imponente.
Lei non si chiede e non chiede,
lei si fa sentire
e arriva come un alito di vento.
Lei c’è, lei vive, lei sogna…
Lei E’.

(Caterina)

Finemente sento il respiro della vita
e mi accorgo della sua importanza
e mi illumino risplendendo in essa.

(Caterina)
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coscienza vs conoscenza
Questa è la mia visione.

La conoscenza è sostanzialmente un atto deduttivo,
parte da delle premesse e tramite un process di sintesi mi porta a trovare un modello semplificato e generale che mi spiega le premesse.

Ad esempio quando studio una formula matematica, fisica o chimica parto da delle ipotesie e tramite di processi di semplificazione, aggregazione etc. ricavo una formula che mi sitetizza le premesse.

Conoscenza : sintesi.

Ma conoscenza non significa "aver capito". Vuol dire "sapere".
Cosa ben diversa.

La coscienza è invece un processo intuitivo. Da alcune premesse ricavo, in un modo misterioso e magico (perchè questa è l'intuizione, ovvere un sapere " a priori ") delle conseguenze del tutto nuove.

Avere coscienza significa avere capito, non solo sapere, e con essa sapere trovare le relazioni tra cose ed eventi che sono (sembrano) del tutto scorrelate con l'evento che sto analizzando.

Io ho conoscienza di una formula quando so utilizzarla, so spiegarla, so ricavarla.

Io ho coscienza di una formula, quando ho capito l'evento e il fatto di saperlo descrivere in un linguaggio piuttosto che un altro è solo un fatto formale. Ho coscienza di una formula/evento quando so ricavarne le conseguenze anche senza analizzarla e fare dei calcoli.

La coscienza è in poche parole quella capacità che permette di sapere a priori le relazioni tra eventi apparentemente senza relazioni.

La conoscienza è in poche parole la capacità di sintesi da delle premesse puntuali a dei modelli generali.

Temo però che che la conoscenza sia una condizione quasi necessaria per la coscienza (nelle religioni lo gnosticismo ha come base proprio questo assimo).
Altrimento, senza conoscenza tempo si posso avere solo la coscienza della mancanza di conoscenza.
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Sì Pik, sono d’accordo con te!

E’ difficile spiegare cos’è la Coscienza… puoi solo intuirla!
Credo in effetti che senza Conoscenza non si possa capire la Coscienza e viceversa.
La Coscienza o c’è o non c’è, la Conoscenza la si può acquisire, ma d’altronde la Coscienza è, non la si può “imparare”.

La Coscienza, per avere coscienza di sé, ha dovuto con l’atto di volontà (con Anima) cercare una fonte di “conoscenza” per capire sé stessa. Creare la virtualità è stata una buona soluzione. Per la Coscienza è come guardarsi allo specchio o ancora meglio è come fare quotidianamente e perennemente un simbad. Coscienza si conosce attraverso lo scomponimento di sé e quale miglior modo se non scomporsi nell’umanità?

Ogni Uomo ha in sé parte della Coscienza, completa di emozioni, sentimenti e ragione, ogni pezzo di terra ha in sé il sapore della crescita, ogni goccia d’acqua ha in sé un messaggio, ogni raggio di sole ha in sé la passione. Credo che ogni giorno la Coscienza Animica (mi piace chiamarla così, perché Coscienza non è solo Intelletto, ma anche Volontà) si conosca in base a quel che vede all’interno della sua stanza. In effetti non è poi così diverso da quel che Corrado ci ha insegnato di fare; per avere Coscienza di chi siamo dobbiamo lavorare sulla Conoscenza di Noi stessi: prima ci scomponiamo e poi ci ricomponiamo.

Quando si parla di Coscienza si parla di qualcosa che è sia in noi, sia al di fuori di noi. Noi siamo parte di essa, perché essa ha deciso di scomporsi!

Avere Coscienza o essere Coscienza? Questa è la domanda giusta.

Saluti, Caterina.



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L’impatto dell’anima col mondo terreno
è davvero imponente.
Lei non si chiede e non chiede,
lei si fa sentire
e arriva come un alito di vento.
Lei c’è, lei vive, lei sogna…
Lei E’.

(Caterina)

Finemente sento il respiro della vita
e mi accorgo della sua importanza
e mi illumino risplendendo in essa.

(Caterina)
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